sabato 21 febbraio 2015

Casette di legno di qualità a Bergamo


Il mercato delle casette di legno di qualità sta vivendo sicuramente il suo periodo d’oro. Questo comporta però una ricerca, per chi desidera fare un acquisto di questo tipo, metodico e sapiente. Si tratta di una spesa contenuta, è vero, ma bisogna puntare sulla qualità, per non ritrovarsi con un prodotto scadente. I materiali sono importanti, se non fondamentali. Perciò quando scegliamo la nostra casetta di legno è  preferibile accertarsi prima della natura del prodotto e dell’esperienza sul campo da parte di chi le produce.

In questo caso ad esempio, consigliamo di rivolgervi a professionisti che utilizzano il sistema block house, si tratta quindi di avere a disposizione uno standard qualitativo elevato e capace di durare. In questo settore, come quello delle casette di legno di qualità, bisogna saper scegliere in base alla robustezza, al design e al comfort.

Con il sistema block house e con i suoi materiali pregiati, come l’utilizzo dell’abete nordico e del legno massello, potete sicuramente puntare su un alto livello qualitativo. E’ importante sempre garantire ai clienti un prodotto sicuro, conveniente e che possa durare nel tempo. Chi produce questo tipo di prodotti punta sulla professionalità, visto anche il livello di concorrenza e la richiesta che le casette di legno stanno registrando in questi ultimi mesi.

Si tratta infatti di un vero boom, visto che in molti stanno richiedendo per il proprio giardino, o per avere uno chalet in montagna, le casette di legno di qualità. Le caratteristiche principali sono la solidità, la robustezza e il design. Uno degli elementi fondamentali è poi la solidità del tetto, specialmente quando si tratta di una casetta adibita come rifugio in montagna. Fondamentale in questo caso avere un tetto solido e capace di resistere alla neve. I materiali devono essere di qualità per isolare l’abitazione e per renderla maggiormente confortevole, elegante e funzionale.

mercoledì 24 dicembre 2014

E buon Natale Elena

(Apologia del raudo svedese)

Quel giorno mi ero svegliato di buona lena, come si suol dire. Sapete, non sono esattamente un tipo molto mattiniero, anzi, visto che ci sono ve la dico tutta: sono un tipo estremamente pigro, e cialtrone e taccagno. Sono uno a cui piace lamentarsi. Di tutto, per tutto.

Ho un sacco di amici che non caco manco di striscio perché reputo degli enormi falliti. Ho un sacco di conoscenti che non considero per paura che il confronto possa danneggiarmi. Sono uno di quelli che non ha mai creduto nella constatazione amichevole, così come non ho mai creduto nello spirito del Natale. Già il famoso spirito dickensiano.

Vabbè questa è un po' una cazzata. Diciamo che ho smesso di credere al Natale dopo aver trovato quel Voltron nascosto nell'armadio, all'età di 9 anni. E a me quel Voltron come regalo faceva schifo! io volevo una pista Hot Wheels, perché ero e sono un tamarro di periferia, per intenderci uno di quelli che va al cinema a vedersi Transformers o Fast & Furious, e che però nella sua vita non ha mai premuto neanche per sbaglio il piede sull'acceleratore.

Dicevamo... ah sì, quel giorno mi ero svegliato di buona lena, come si sol dire. Secondo me questa frase nasce da un grande equivoco o da un errore, cioè: dalla buona Elena... nel senso che si dormiva in compagnia di un'amica, una brava e cara amica come non ce ne sono più molte, ahimè!
Questa cosa però, se posso permettermi è anche colpa vostra, perchè vi state rincoglionendo totalmente, e come vi dicevo io non sono certo una persona buona né generosa e mi aspetto sempre il peggio da tutti... e blà blà blà!

Ricordo ad esempio quando mi trovato a Cork per lavoro, ed ero molto depresso il giorno della vigilia di Natale. Vi sto parlando di qualche anno fa, ma tant'è... Anche quel giorno ahimè mi ero svegliato presto... e questo mi aveva fatto smadonnare anche Gesù Bambino. Eppure la giornata trascorse serena, senza strepiti e furore. Venni anche invitato ad un cenone organizzato da amici di amici di sardi e di emiliani che come me lavoravano lì a Cork. Mangiammo bene e bevemmo come delle spugne.
Per un attimo, ma proprio uno soltanto, durante quella serata mi sentii a casa mia. Peccato che io la sera della vigilia non abbia mai cenato a casa mia, ma sapete questi sono dettagli.

Ero, come vi dicevo, un tamarro periferico. Quando avevo 9-10 anni compravo una scatola di svedesi, dei raudi molto potenti e facili da esplodere. Io mi divertivo tantissimo a spararli in un angolo del muro esterno della casa di mio nonno. Facevamo le stelle con mio fratello e mio cugino più grande. Erano cose belle, almeno se eri un tamarro. Crescendo però ho smesso di comprare i raudi svedesi, non so manco se li fanno più.  Sapete che cos'è un raudo?

Secondo me no. Allora, un raudo ha l'aspetto di un tubicino di cartone giallo, lungo circa 55 mm, con testina a sfregamento di colore nero, utilizzata per l'accensione. Veniva venduto in scatole da 50 o 100 pezzi. La sua massa attiva per ogni pezzo è di circa 1 g di polvere, di cui ne fanno parte circa 0,25 g di miscela netta esplosiva, composta da polvere nera. Il resto del materiale attivo è impiegato nella spoletta di accensione, compresa tra la capocchia di zolfo e la carica interna.

Come vi dicevo, sono un vero tirchio, un po’ come Mr Scrooge, che voi manco sapete chi è, ma comunque l'essenziale è che io adesso mi sveglio spesso di buona elena… perciò chi se ne frega del Natale, che non mi è mai piaciuto, né stato troppo simpatico. Tranne quando c’era mio nonno, e tutta la famiglia si radunava e mangiavamo fino a scoppiare e poi c’erano i regali, sì ce li davano il 24 sera, ragion per cui il vero spirito del Natale per me è sempre stato legato alla vigilia, mentre il 25 mattina mi dovevo svegliare presto, per andare dai nonni matern,i e a me non piaceva svegliarmi presto, anche perché poi non potevo manco giocare con il Voltron, che per giunta mi faceva pure un po' schifo...

Vi ho già detto che a me non piaceva il Voltron, sì? Eppure poi ho anche votato Veltroni, che poi ha pure perso… 'sto stronzo! Ma tanto questa è un’altra storia, no?


Dario Greco


sabato 29 novembre 2014

Catartica illusione

Il 27 novembre il tour catartico è giunto alla sua tappa cosentina. Scenario: l’auditorium dell’Unical. Il sold out era indubitabile per una band del calibro dei Marlene, che con i fans ha stabilito un rapporto solido, alcuni venuti anche da fuori e con l’incertezza di restare in piedi o peggio di non entrare. L’occasione è unica ed è da festeggiare.

I manifesti del concerto in città avevano lasciato man mano posto a quelli elettorali, ma i fans avevano inciso la data sul cuore. Save the date! La musica dei Marlene non delude e ripaga in emozioni fortissime, difficili da contenere.

Nonostante gli anni siano passati, 20 dall’uscita dell’album Catartica, loro conservano un’ energia implacabile che fanno sentire da subito e che trova motivo d’essere in Pansonica, l’album di nuova uscita che contiene tracce inedite di quello stesso periodo.


Il concerto ricostituisce il filo tra i vari brani, che allora era stato “spezzato” dall’uscita dell’album d’esordio di quella che poi diventerà una delle band più rappresentative del rock italiano.

Con “M.K.” si erano presentati al pubblico e ora consolidano il rapporto in ordine sparso, e con l’aggiunta di quello che c’eravamo persi, non perché da meno. Basta ascoltare “Sig. Niente” o “Sotto la luna” che conosciamo ora in versione extended.

“Noi siamo Niente” dice Godano al pubblico e mi fa pensare alla frase di Pasolini ascoltata di recente nel film di Abel Ferrara “Io sono una forma la cui conoscenza è illusione”, per cui non vale la pena forse arrabbiarsi con quelli d’avanti arrivati in ritardo, che si siedono, si alzano, si spostano, e con la ragazza dello staff, che ti chiede nel buio di raggiungere un altro posto che farebbe scomodare circa una trentina di persone; mentre Godano canta e tu stavi bene lì e non davi fastidio a nessuno. Il mondo in cui viviamo è un’ illusione e allora prendiamola così, Godano stesso ci mostra la strada verso ciò che è più importante: la sua musica e l’estasi che possiamo raggiungere attraverso di lei.

Un ritorno alla genesi dunque per il gruppo e per noi, che li abbiamo ascoltati dagli esordi. Avevamo il cd sulla scrivania, più spesso nel lettore.  Pensieri, riflessioni allora chiusi nella mente, ri-trovati nei testi di Godano. L’energia dei suoni ci portava avanti nel mondo, con più ardore e con la voglia di farcela.

Una scoperta della scoperta.

Ascoltarle in un unico spettacolo è delirio! L’energia è fortissima tra i Marlene, e tra loro e il pubblico. Un pubblico che arriva spesso in ritardo agli appuntamenti, ma non di remissivi, che per Godano rinuncia a lamentarsi di non potersi avvicinare al gruppo, anche se la proibizione si scopre poco più tardi essere più che ragionevole: si rischiano danni alla location, ricordiamo che il tutto si è svolto in un teatro.  

Per quel che abbiamo potuto ci siamo mossi e abbiamo cantato, a squarciagola “Nuotando nell’aria”

Abbiamo ri-scoperto un gruppo e un album (anzi due) che possono dare ancora molto, suggestioni pure che ci portano a farci domande scomode ancora su noi stessi: non hanno aperto a caso con “Mala Mela” credo.

Momento catartico davvero per i Marlene, che hanno riproposto con sapiente naturalezza brani di 20 anni fa, e per i fans, che hanno vissuto tutto questo immersi in un passato-futuro.

Sul palco:
Cristiano Godano voce e chitarra
Luca Bergia batteria
Riccardo Tesio chitarra
Luca Saporiti (Lagash) basso                                                                                 
 foto di Carmela Reda

giovedì 10 aprile 2014

Townes Van Zandt saved my life!


Verrebbe da dire questa vita del cazzo, ma sarebbe veramente troppo riduttivo.

Ma se io torno a casa e metto Townes Van Zandt nello stereo e secco il bianco ghiacciato vuol dire che il sole che c’è fuori lo vedete solo voi. Io lo intravedo, lo vedrò, ne sono certo, con un po’ di fortuna e soprattutto con un bel coltello fra le mie mani che dovrebbe servire a tagliarmi questa lingua del cazzo.

Una cosa è sicura, a me non piace scrivere tanto quanto parlare.

Leggi un testo e può suscitarti magari qualcosa ma se lo senti cantare è tutta un’altra cosa perché lì senti l’emozione di chi lo canta su una certa frase, in un certo punto, senti la gioia o il dolore.

Lo stesso vale per i messaggi o sms del cazzo, che sia stramaledetto chi l’ha inventati, deve essere il diavolo. Sappi signor diavolo di sta minchia che io non ho più niente da darti. Ho solo la mia miserabile vita, se vuoi anche quella prenditela e levami dal cazzo e goditela te.

Sappiate che con i messaggi non si ascolta la profondità di una parola, e nemmeno lo stato d’animo con cui viene detta e quindi si prestano ad essere travisati.
Ecco perché mi piace parlare.

La tecnologia a volte andrebbe presa e gettata il più lontano possibile perché sono sempre più convinto che sia la causa di parte dei patimenti di questo mondo.

Townes canta “you built your tower strong and tall, can’t you see it’s got to fall someday”
E’ sempre lui che cantava “all born to grow and grown to die”

Nati per crescere e cresciuti per morire, è così vecchio, moriamo ogni benedetto giorno chissà perché. Comincio a sbattermene i coglioni del fatto che sto morendo ogni giorno di più, sarà il destino o Dio o forse sono solo io.
Forse però è bello quando ci sono giorni, come stamani, che ti svegli cantando e sognando…dovrebbero essere tutti così i giorni.

Non è colpa del mondo se non lo sono, è colpa mia che in certi momenti dovrei prendere questo cellulare o altra tecnologia nelle vicinanze e gettarla a un chilometro di distanza da me.

Oppure dovrei solo stare zitto ed entrare in casa mia facendo finta che tutto sia ok, ubriacarmi e aspettare.
Come la famiglia felice del Mulino Bianco no?

Ma noi non siamo dei robot del cazzo quindi 'fanculo.
Quando oggi mi ha chiamato l'amico Stefano sapeva già cosa gli avrei detto.
Si ok, non è che sia un salutista lui, quindi mi ha incoraggiato a seccare questa maledetta bottiglia di vino, però mi ha anche detto cose importanti, che possiamo anche sapere già ma che sentirsele dire fa tutto un altro effetto, soprattutto a chi vive in 40 mq con Townes nello stereo.

Grazie Fratello, questa volta voglio proprio dirtelo e che cazzo.
Queste cose le scrivo solo perché non posso avervi qui, davanti a un fuoco con una chitarra, per raccontarle.
Anche voi raccontereste le vostre storie, ne sono convinto, dovremmo organizzare una cosa del genere un giorno, dovremmo tornare a molti anni fa.

Christy Moore cantava Cry Like A Man, ogni uomo dovrebbe avere la forza di piangere quando si accorge che sbaglia in pieno, io lo faccio troppo spesso, magari sbaglio troppo spesso.

Comunque sia Townes sta cantando Dead Flowers dei Rolling Stones, c’entrano sempre i morti o le cose morte e invece dovremmo pensare a quel che abbiamo qui e ora.

Ieri ho fatto una promessa e io le promesse le mantengo, in ogni caso, sempre, anche se morissi ora, ci potete scommettere le palle.

Volete sapere cosa sta cantando ora Townes? If I Needed You

“If I needed you 
Would you come to me, 
Would you come to me, 
And ease my pain? 
If you needed me 
I would come to you 
I'd swim the seas 
For to ease your pain”

Ti Amo vecchio spirito guida, e non solo te.

Luca Rovini

lunedì 23 dicembre 2013

RACCONTO DI NATALE ARBERESHE

Immagina una persona come te che guida una Renault 5 bianca, negli anni in cui uscì questo pezzo.
Immagina un mondo differente, pieno di illusioni e di poesia, immagina un mondo con più stile e meno panettoni al cioccolato. Solo allora vedrai me danzare sotto un lampione come un Gene Kelly di periferia, mentre il nevischio inizia ad attecchire e si ode una voce in arbereshe intonare un:- "Ruì chi' ciòt!"

Da qualche parte, nella Calabria Citeriore...

C'è un giradischi  Philips che suona una canzone allegra di Natale, e lì, in quella casa pare che la tristezza, il rimpianto e la malinconia non potranno mai trovare asilo. Ci sono due cuccioli di uomo che giocano, a terra, sotto un pino addobbato con gusto, un po' naif, un po' spartano. C'è calore. Ci sono profumi di un inverno appena iniziato. La geografia della nostra giovinezza si trova qui.

C'è aria di festa. Il Natale, nei paesi arbereshe, è qualcosa di difficile da spiegare così come lo è da vivere. Eppure ci troviamo negli edonistici anni ottanta. In tv mandano a tutta forza spot pubblicitari ottimisti. I due bimbi però non guardano la tv, e non ascoltano le canzoni. Stanno girando come matti alla ricerca dei regali. Non se la bevono, né la coca-cola né tanto meno la panzana di Babbo Natale. Il più grande, e diremo anche il più sveglio ha intravisto quel pasticcione del padre, che di mestiere non fa il pasticciere, trafficare con degli scatoloni sopra un armadio.

Sapete, il gusto del proibito, quando sei alto poco più di un metro e dieci è sempre lo stesso: salire sopra una sedia, in equilibrio instabile, come se da questi piccoli e irresponsabili gesti, possa avvenire una selezione naturale, di ciò che sarà anche la tua vita di adulto. Coraggio, pazzia. C'è forse distanza o differenza.

Nei paesi arbereshe il Natale, lo abbiamo già detto è diverso. Così diverso che la letterina, loro, la leggevano al nonno, che era il capostipite, un vero capo clan.

Un tipo con lo sguardo vivo, pochi capelli e un baffo d'ordinanza, come per tante persone nate negli anni venti. Da qualche parte sfreccia una Renault 5 color crema, dentro un hipster ante-litteram con le basette mozzate e un autoradio appena comprato. Ascolta "Driving Home For Christmas", ha comprato alcuni torroni Monardo che consegnerà come un trofeo ai suoi nipotini.

Un suo amico di Cesena gli ha parlato della possibilità di trasferirsi lì, a lui però interessano solo tre cose adesso, le donne, il bar e la Juventus. E quest'anno con quel francese dotato di gran classe si prevede una grande annata. Oltre ai torroni darà ai suoi nipoti anche qualche mortaretto, ma di nascosto, che suo cognato è un gran paranoico e lui non le regge certe cose. Si considera un tipo indipendente.

Rientra in casa con grande fretta e qualche bicchiere appena bevuto al bar, dove "Catella" come al solito ha pontificato di vita, di calcio e di donne. Filosofia di vita provinciale, of course.

Sono tornati anche un sacco di 'mericani, sono tornati coi dollari e con qualche novità, ma anche con gli occhi pieni di nostalgia. E che cosa c'è più bello dei parenti e del paese?

Molti anni prima, suo padre festeggiava il Natale, da solo. Fare il cameriere a 50 anni è dura, ma la vita non è facile, nemmeno a Natale, per molti. Suo padre è un uomo della lost generation, uno di quelli che non si sarebbe lamentato neanche volendo. Anni lontano dalla famiglia, per dare un destino differente ai suoi figli, per dare un avvenire. Lì su al Bronx. Dove i duri non ballano, come diceva Norman Mailer. Ma questa è un'altra storia, forse...

Bene, la tv è accesa, la famiglia è riunita e il cenone della vigilia di Natale sta per cominciare. Per il piccolo Maurizio il Natale è il giorno più bello dell'anno e pensa, dato che è un visionario a come sarà il Natale del 2000. Guarda dentro un bicchiere di vino rosso sincero, sorretto da un goccio di gazzosa. Guarda, ride e spera. Chiude gli occhi, è felice. Buon Natale a tutti, ragazzi, auguri sinceri! Buon 1986!


A Igor
A Rosaria








giovedì 18 luglio 2013

Vivere e morire a San Lucido

"Vivere e morire a San Lucido"

La vita è appesa ad un filo di merda, ma a volte non ce ne rendiamo conto. Ho sempre detestato fili, lacci, emostatici & cose. Detesto anche gli spaghetti, perché si attorcigliano e a me le cose che si attorcigliano mi fanno senso, mi ricordano il nostro passato da rettile, dentro il brodo primordiale che è capace solo di avanzare, che non riflette, ma pulsa, come la luce innaturale. Come il dolore sotto la pelle. Dentro di noi, e così sia! Merda!

Ho sempre detestato tutto ciò che scorre e fluisce, fosse anche il liquido amniotico da cui sono nato e che mi ha protetto, credo ci sia solo falsità in esso, come nello sperma del resto, il più delle volte, mas o meno. Fanculo! Sto male, ma tanto a chi frega qualcosa di me, del mio dolore e del mio ego, spropositato per un giovane uomo che non supera il metro e sessanta. Ma ne ho altri 40 sotto, di centimetri e non parlo della misura del mio pene. Merda!

La vita è appesa ad un filo di merda, ma a volte non vogliamo o non possiamo rendercene conto.
Siamo ciechi, siamo sordi, al dolore, alla nostra reale natura, di scimmie al carbonio imprigionato dentro un sogno di ossa, sangue, nervi, cellule! Dannate cellule, dannato umorismo neurale! Dannato me! Dannato! Mai nato! Damiano! Demonio. I greci sapevano tutto, e adesso sono rimasti senza niente. Come me. Perché?

Ecco ciò che siamo, portatori sani dentro un flusso di acque torbide, di cui molto probabilmente non verremo mai a capo. Mais, non lo mangio mai! Quasi mai. Quasi mai capiamo il motivo eppure ci siamo passati tutti, più o meno, ora e per sempre. A me è capitato forse troppo presto per essere consapevole, per essere vigile, urbano, borghese, merda!

Siamo andati a cercare noi stessi dentro un lago di catrame, di sangue e speranze. Avevamo una buona stella o ce la siamo procurata di seconda mano. Da qualche parte, dove il dolore ha incrociato le lacrime per baciarle, per conoscerle e rapirle. Via con me. Tu tu ru ru rù!

In questa vita, in questa lava di sofferenza e di fatalità...

Oggi non è un buon giorno per morire. Oggi non è un buon giorno per vivere.


(ad un amico!)

martedì 1 gennaio 2013

Nestore Verre Charlotte



CHARLOTTE (IL TESTO)

Se puoi non odiarmi tu
È così che vado via e non ci penso più
Se puoi non cercarmi mai
Non lo vedi tu quanto amore sei
Come un fiore che sa amare la sua terra
E da sempre il suo splendore
Incendiando tutto anche il sole
Invece io signore della mia guerra
Che so alzare solo fumo
Annebbiando tutto anche la tua stella
Eh si per un secondo sai
Mi volto io e voglio te
Che sei
Soltanto senza me
È vero che non ci sto dentro
È vero che mi manchi tu
È nero questo mio momento
Ma non ritorno sai mai più
E allora
Vivi, vivi, vivi al meglio
Che di me non hai più bisogno
E porta quello che tu hai dentro
A chi sa darti quel tuo sogno

Se puoi non guardarmi più
È vero sono io
Ma sai crearmi solo tu
Se puoi non svegliarti mai
Rimani in quella verità che tu sola sai
Come l'aria sei che riempie l'universo sai
Non c'è bisogno delle ali
Con te si tocca il cielo anche se non voli
E invece io che non soffio mai sulla tua anima
Ma che sento la tua luce
Che disintegra per sempre la mia croce
Eh si per un secondo sai
Mi volto io e voglio te
Che sei
Soltanto senza me
È vero che non ci sto dentro
È vero che mi manchi tu
È nero questo mio momento
Ma non ritorno sai mai più
Eh allora vivi,vivi,vivi,al meglio
Che di me non hai più bisogno
E porta quello che tu hai dentro
A chi sa darti quel tuo sogno

Vivi, vivi, vivi tutto
Vivi, vivi, vivi tu
Fai quello che ti sembra giusto
Ma a volte il cuore scherza un po'
E dimmi tu perché
Charlotte

(Testo e musica di Nestore Verre ®)