lunedì 23 dicembre 2013

RACCONTO DI NATALE ARBERESHE

Immagina una persona come te che guida una Renault 5 bianca, negli anni in cui uscì questo pezzo.
Immagina un mondo differente, pieno di illusioni e di poesia, immagina un mondo con più stile e meno panettoni al cioccolato. Solo allora vedrai me danzare sotto un lampione come un Gene Kelly di periferia, mentre il nevischio inizia ad attecchire e si ode una voce in arbereshe intonare un:- "Ruì chi' ciòt!"

Da qualche parte, nella Calabria Citeriore...

C'è un giradischi  Philips che suona una canzone allegra di Natale, e lì, in quella casa pare che la tristezza, il rimpianto e la malinconia non potranno mai trovare asilo. Ci sono due cuccioli di uomo che giocano, a terra, sotto un pino addobbato con gusto, un po' naif, un po' spartano. C'è calore. Ci sono profumi di un inverno appena iniziato. La geografia della nostra giovinezza si trova qui.

C'è aria di festa. Il Natale, nei paesi arbereshe, è qualcosa di difficile da spiegare così come lo è da vivere. Eppure ci troviamo negli edonistici anni ottanta. In tv mandano a tutta forza spot pubblicitari ottimisti. I due bimbi però non guardano la tv, e non ascoltano le canzoni. Stanno girando come matti alla ricerca dei regali. Non se la bevono, né la coca-cola né tanto meno la panzana di Babbo Natale. Il più grande, e diremo anche il più sveglio ha intravisto quel pasticcione del padre, che di mestiere non fa il pasticciere, trafficare con degli scatoloni sopra un armadio.

Sapete, il gusto del proibito, quando sei alto poco più di un metro e dieci è sempre lo stesso: salire sopra una sedia, in equilibrio instabile, come se da questi piccoli e irresponsabili gesti, possa avvenire una selezione naturale, di ciò che sarà anche la tua vita di adulto. Coraggio, pazzia. C'è forse distanza o differenza.

Nei paesi arbereshe il Natale, lo abbiamo già detto è diverso. Così diverso che la letterina, loro, la leggevano al nonno, che era il capostipite, un vero capo clan.

Un tipo con lo sguardo vivo, pochi capelli e un baffo d'ordinanza, come per tante persone nate negli anni venti. Da qualche parte sfreccia una Renault 5 color crema, dentro un hipster ante-litteram con le basette mozzate e un autoradio appena comprato. Ascolta "Driving Home For Christmas", ha comprato alcuni torroni Monardo che consegnerà come un trofeo ai suoi nipotini.

Un suo amico di Cesena gli ha parlato della possibilità di trasferirsi lì, a lui però interessano solo tre cose adesso, le donne, il bar e la Juventus. E quest'anno con quel francese dotato di gran classe si prevede una grande annata. Oltre ai torroni darà ai suoi nipoti anche qualche mortaretto, ma di nascosto, che suo cognato è un gran paranoico e lui non le regge certe cose. Si considera un tipo indipendente.

Rientra in casa con grande fretta e qualche bicchiere appena bevuto al bar, dove "Catella" come al solito ha pontificato di vita, di calcio e di donne. Filosofia di vita provinciale, of course.

Sono tornati anche un sacco di 'mericani, sono tornati coi dollari e con qualche novità, ma anche con gli occhi pieni di nostalgia. E che cosa c'è più bello dei parenti e del paese?

Molti anni prima, suo padre festeggiava il Natale, da solo. Fare il cameriere a 50 anni è dura, ma la vita non è facile, nemmeno a Natale, per molti. Suo padre è un uomo della lost generation, uno di quelli che non si sarebbe lamentato neanche volendo. Anni lontano dalla famiglia, per dare un destino differente ai suoi figli, per dare un avvenire. Lì su al Bronx. Dove i duri non ballano, come diceva Norman Mailer. Ma questa è un'altra storia, forse...

Bene, la tv è accesa, la famiglia è riunita e il cenone della vigilia di Natale sta per cominciare. Per il piccolo Maurizio il Natale è il giorno più bello dell'anno e pensa, dato che è un visionario a come sarà il Natale del 2000. Guarda dentro un bicchiere di vino rosso sincero, sorretto da un goccio di gazzosa. Guarda, ride e spera. Chiude gli occhi, è felice. Buon Natale a tutti, ragazzi, auguri sinceri! Buon 1986!


A Igor
A Rosaria








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