mercoledì 6 ottobre 2010

Città di bronzo e lacrime d’argento



“Viviamo nascosti ma siamo noi che muoviamo i fili: non vogliamo essere protagonisti, ma inevitabilmente lo siamo più di chiunque altro perché noi abbiamo visto qualcosa che i più non hanno visto. Noi figli della luna, noi operatori del call center” (Alejandro Escovedo)

È ottobre e lui è un un tipo romantico, forse un po’ troppo per godersi questa epoca di panico stupore. Lavora in un call center, fa il turno dalle quattro alle nove di sera. Si chiama Demetrio e sta tentando con tutte le sue forze di venir fuori da un periodo dark.

La città sembra una pallottola d’argento che sghignazza dentro il filtro di una sigaretta al mentolo. La città è una luce fredda, come le macchine che sfrecciano via, come le studentesse che aspettano l’autobus. Demetrio anche lui pare avere fretta. Al call center è considerato uno col senso dell’umorismo. Lui in verità sta male, ma non lo dice a nessuno. Si è stancato di lamentarsi e di ammorbare il prossimo. E’ una città di bronzo, un po’ come la sua faccia, ormai. Si trova bene nel call center Demetrio, e ha anche trovato moglie, ma solo per ridere, ovviamente. A volte le giornate del teleselling sono davvero dure. A volte fioccano chiamate come se fossero pallottole. Certi pomeriggi ci vuole senso dell’umorismo e inventiva per far passare quelle quattro ore e mezza.

C’è qualcosa che lo tiene allegro, la compagnia è fatta da bravi ragazzi che lo sostengono nella sua battaglia contro la mediocrità e la serietà imperante, a suo parere senza motivo alcuno. Demetrio interpreta ogni giorno un personaggio differente, sempre di matrice pirandelliana e così come Shakespeare sosteneva che la vita fosse un palcoscenico, Demetrio sta trasformando questo call center in un happening stile Fiorello & Baldini. Del resto lui la radio l’ha fatta e pure il teatro, ma una vita e mezza fa; quando era un giovane idealista pieno di capelli e di sogni di gloria. Demetrio è uno di quelli che viene dall’inbound, conosce bene la trincea e lì dentro non ci vuole più tornare. Si trova meglio a fare il rapace, il rapinatore dell’outbound.

Pensieri di ferro salpano alla sera su navi di ferro. Demetrio si distrae pensando alla sua vita di periferia e al tragitto dal lavoro a casa; alla sua macchina che fa viaggiare sempre di terza: controllo perfetto del mezzo, sicurezza e affidabilità. Uno spleen sull'amore, che si costruisce col tempo, con la fiducia. Ci vuole pazienza e l’arte per il compromesso: mai tirare la corda, niente eccessi, mostrare affidabilità e solidità. Questo è il trucco per un amore vero. Perché l'amore non è una corsa automobilistica in discesa, ma una salita ripida e lunga che va affrontata con cautela e controllo di sé. L' amore va preso di terza per arrivare sani e salvi alla meta. Se ingrani la quinta sono dolori, invece.

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In un momento di mistica comunione si spengono i monitor. Il rumore di fondo si smorza e parte dagli abissi una sezione d'archi, imperiosa, forse una tromba squilla lontana, un muro di chitarre si fa breccia nella sua mente, sono proprio loro, i Dream Theater.. Lei gli sfiora per sbaglio la mano mentre lui “fa la tartaruga” col suo mouse riuscendo finalmente a strappargli un sorriso. Si sente felice come un cretino: il ccrm si riavvia, parte una nuova telefonata: è vita da call center, sempre e solo quella!

“Forse sei troppo creativo per amare fino in fondo, qualcosa che non sia legata a te stesso e alle tue idee.”

Queste parole gli tornano in mente come un boomerang di tequila boom boom, effetto dopo-sbornia. E’ storia di pochi mesi fa, sempre la stessa, un lunga scia di insuccessi come lumache che lasciano una bava di scontentezza. E’ questo il suo umore, le sue lacrime d’argento che riesce ancora una volta a celare con una battuta, un accento particolare, un timbro impostato da speaker radiofonico, ma invece vorrebbe strapparsi il cuore, se potesse realmente servire a qualcosa. E non è mai leggere la tenerezza, oggi. E i cuori romantici come quello di Demetrio saranno sempre destinati a soffrire fino allo sfinimento e alla conseguente resa.

I pensieri lasciano la spietata città; eppure anche le navi sono di ferro e non hanno pietà, adesso; mentre gli uomini hanno cuore e fianchi arrugginiti e stanchi. Pensieri di ferro veleggiano le ferree città nella polvere, ma soffici come colombe sono i pensieri che tornano a casa dopo il turno delle nove. E in fondo tutto ciò che riesco a scorgere sono solo lacrime d’argento in una città di bronzo.

Il titolo è liberamente ispirato a Trilogia di New York (Città di vetro) di Paul Auster

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